E’ nostra viva speranza che il nostro agire sia sempre improntato
al passo sopra riportato.
Abbiamo riservato questa sezione del nostro sito per esprimere qualche
opinione in relazione alla nostra Professione – che qualcuno ha
giustamente definito, al contempo, nobile e disperata – ed ai fatti
di tutti i giorni che, in qualche modo, hanno pur sempre un rapporto,
diretto od indiretto, col mondo del giuridico, il quale, specie
negli ultimi lustri, nessuno sforzo sembra risparmiare per dare
di sé una immagine assolutamente incomprensibile ai cittadini, lasciandoli
attoniti e costernati.
Se ed in quanto sottoscritte e riscontrabili, e purchè non travalichino
i limiti del decente e del consentito, questa pagina è aperta all’inserimento
di “pensieri” di Colleghi, ovvero di Cittadini che ritengono di
evidenziare qualche “stranezza” giudiziaria di cui vengono a conoscenza.
Non è, infatti, assolutamente infrequente che qualche vicenda giudiziaria,
o presunta tale, assuma i contorni del tragicomico.
La pubblicazione di un commento su di esse costituisce, allo stesso
tempo, fonte di un accenno di sorriso – anche se spesso “amaro”
– e momento di riflessione.
Una riflessione spontanea sull’Ordinamento Giudiziario Italiano.
Sin dalla sua nascita – e poi seguendo l’irripetibile espandersi
ed affermarsi dell’Impero Romano – il Diritto di Roma ha illuminato,
ed ancora oggi continua ad illuminare, gli Ordinamenti e le leggi
di grande parte del Pianeta. I primi “Magistrati” di Roma rappresentavano,
per i cives, al contempo, l’accusa, la difesa ed il giudice: essi
erano scelti fra i cittadini più probi ed inviati dal “Governo”
nelle più lontane province per amministrare la Giustizia e dirimere
le controversie, e sulla loro imparzialità ed onestà non si ponevano,
normalmente, dubbi di sorta.
Qui importa soltanto sottolineare l’unitarietà della origine delle
figure della difesa, dell’accusa e del giudice, in quanto elementi
indispensabili di un meccanismo – pur sempre unitario – di amministrazione
della giustizia e di formazione mentale dei “Giuristi”. Nei tempi
successivi, ovviamente, ferma restando l’unitaria matrice, le tre
figure ebbero a “suddistinguersi” fisicamente, assumendo ognuna
le proprie funzioni. Unica restava, tuttavia, la metodica formativa
e l’esperienza di lavoro. Intorno all’anno 1000, in Inghilterra,
contestualmente alla nascita del cosiddetto “diritto comune” (common
law), fondato sul principio del “precedente giurisprudenziale” e
contrapposto alla tendenza continentale di “diritto civile” (civil
law), fondata sul sistema codicistico, si venne conformando un sistema
di Ordinamento Giudiziario – tuttora vigente – che, restando nel
solco del diritto più risalente, manteneva la unitarietà della matrice
professionale di Avvocati e Magistrati.
La intuizione, semplice e geniale, di quel sistema, consisteva nel
mettere al centro del sistema giudiziario la Classe Professionale
degli Avvocati (Barristers), dalla quale, e soltanto dalla quale,
potevano provenire i Magistrati giudicanti. Ed infatti, era stabilito
– ed è stabilito ancora oggi – che soltanto un Avvocato che abbia
svolto per almeno venti anni la Libera Professione, distinguendosi,
contestualmente, per serietà, correttezza, capacità professionale,
equilibrio mentale ed atteggiamento sociale, può essere nominato
Giudice. Chi, in tal modo, diviene Magistrato, occupa, all’interno
della Società, una posizione di rilevantissimo prestigio e di rispetto
e viene remunerato in modo talmente elevato da essere messo, comunque,
al riparo da ogni tentativo di “pressione”. Ma, soprattutto, chi,
in tal modo, diviene Magistrato, è sicuramente una persona che ben
conosce i fatti – grandi e piccoli – della vita e la mentalità degli
Avvocati, dei Pubblici Ministeri, dei “Clienti” degli uni e degli
altri, oltre alle sottigliezze della Professione e delle cose giudiziarie.
E’, questo, un Sistema che l’Inghilterra ha indicato al mondo ed
al quale è inevitabile dare atto di grande saggezza ed aderenza
alla realtà di ogni società. L’Ordinamento Giudiziario Italiano
è orientato in tutt’altro modo. Pur provenendo tutti dalla medesima
Facoltà Universitaria, si verifica, subito dopo il conseguimento
della laurea – e cioè, mediamente, all’età di 24 anni – una incredibile
“diaspora” fra coloro che intendono intraprendere l’attività professionale
di Avvocato e coloro che intendono percorrere la strada della Magistratura.
Gli aspiranti avvocati si inseriscono, in qualità di “praticanti”,
in uno Studio Legale, presso il quale seguire un periodo di tirocinio
prima di affrontare l’esame di Stato per la ammissione all’Avvocatura.
Tuttavia, essi, quand’anche avranno superato quell’esame di Stato,
saranno pur sempre – e ciò è inevitabile – dei “novellini”, ai quali
occorreranno molti anni per acquisire una esperienza che, nel campo
forense, non può mai dirsi troppa; ed è solo con i primi capelli
“brizzolati” che acquisiranno la preparazione e la esperienza che
li può rendere abbastanza completi. E cioè dopo avere incontrato
centinaia di persone, affrontato, con alterne vicende, centinaia
di casi, avere sofferto per le sconfitte e gioito per le vittorie,
avere toccato con mano, ogni giorno, le virtù e, più spesso, le
miserie umane. Gli aspiranti Magistrati, viceversa, potranno immediatamente
dopo la laurea partecipare ai Concorsi per la ammissione alla Carriera
di Magistrato, indetti annualmente dallo Stato. Cosicchè ben può
capitare che un giovane od una giovane di 25 o 26 anni può ritrovarsi
ad essere, a tutti gli effetti, Magistrato (seppure con un breve
periodo iniziale in cui viene denominato uditore giudiziario) ed
assegnato presso un Tribunale, ove potrà liberamente decidere del
bene e del male dei casi che gli verranno sottoposti.
E tutto ciò potrà fare senza avere mai incontrato, in vita sua,
un “Cliente” che gli esponesse un caso, senza essersi mai battuto
contro un avversario, senza mai avere vissuto personalmente alcuno
dei casi della vita sul quale viene chiamato a giudicare, senza
mai avere provato lo stato d’animo del difensore che attende l’esito
del giudizio al fianco del proprio difeso, senza mai avere incontrato
le difficoltà che ogni giorno la burocrazia impone agli Avvocati,
senza avere la minima idea di ciò che vuol dire per il Professionista
Forense l’incasso, spesso agognato, della propria parcella (che
diventa sovente oggetto di disputa con lo stesso cliente).
E così, poichè mai, in Italia, un magistrato di carriera
avrà a che fare con simili problematiche, si verifica che
egli resterà, pure dopo anni ed anni di attività,
un "teorico", che si dedica solo allo studio dei Codici
e delle Leggi e non anche ad incamerare esperienze "sul campo".
Di ciò non bisogna fargliene una colpa. E' il sistema che
è errato.
Lascerò al lettore immaginare quanta "comprensione"
possa esistere fra un Avvocato di una certa esperienza ed un Magistrato
di prima nomina.
Queste osservazioni hanno lo scopo di "provocare" una
riflessione sul problema che non è certo di secondaria importanza
e vuole essere un umilissimo contributo, ed al contempo l'espressione
di una speranza, perchè l'Iitalia adotti il sistema inglese.
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